Dopo una lunghissima gestazione, il Ministro per l'Innovazione e le Tecnologie ha pubblicato (G.U. del 7 febbbraio 2004) la direttiva “Sviluppo ed utilizzazione dei programmi informatici da parte delle pubbliche amministrazioni”, precedentemente e informalmente nota come “Direttiva Open Source”.
Vi era una forte attesa nei confronti di questo provvedimento, sia per l'attenzione che il Ministro aveva riservato alla questione dell'Open Source nella P.A., sia per gli interessanti risultati prodotti, pur a costo di faticose mediazioni, dalla “Commissione Meo” nominata da Stanca. Le bozze della direttiva, circolate nei mesi scorsi, facevano pensare che il Governo avrebbe adottato una linea assai cauta, ma di reale apertura verso le possibilità fornite dal software libero e open source.
Il testo definitivo della direttiva delude queste aspettative. Infatti, dopo aver pagato un tributo formale alla necessità per le pubbliche amministrazioni di tener conto della offerta sul mercato di una nuova modalità di sviluppo e diffusione di programmi informatici, definita «open source» o «a codice sorgente aperto», il documento non fa successivamente alcuna scelta reale che favorisca l'adozione di soluzioni OS/FS nella pubblica amministrazione. [...]
La scelta del software viene infatti legata a criteri puramente economicistici (TCO, costo di uscita, ecc.), senza prendere in considerazione fattori di ordine più generale che invece debbono avere importanza nelle scelte di un soggetto pubblico, quali la garanzia della sicurezza dei dati e della trasparenza delle procedure, la possibilità di prmuovere lo sviluppo di imprese sul territorio, la necessità di non favorire posizioni di monopolio, il sostegno a un modello compartecipato di sviluppo della conoscenza e della società dell'informazione. Privata di questa dimensione, la questione dell'OS/FS perde ogni rilevanza politica e si riduce a mero problema tecnico/tecnologico. Non è un caso che nel testo del governo sia accuratamente evitato l'uso del termine “free software”, proprio per la connotazione politica che esso ha assunto.
Vale la pena di osservare anche che si nota nel testo della direttiva una curiosa confusione tra “open source” e public domain. L'articolo 3, comma 2, lettere b) e c), infatti distingue tra “acquisizione di programmi informatici di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d'uso” ed “acquisizione di programmi informatici a codice sorgente aperto”, ignorando il fatto che anche questi ultimi sono coperti da specifiche licenze, e che proprio la differenza tra queste e quelle proprietarie è il nodo della questione.
E' significativo anche che nel testo definitivo della direttiva sia comparso, tra i criteri di preferenzialità nella scelta del software, quello di “soluzioni informatiche che (…) garantiscano la disponibilità del codice sorgente per ispezione e tracciabilità da parte delle pubbliche amministrazioni, ferma la non modificabilità del codice, fatti salvi i diritti di proprietà intellettuale del fornitore e fermo l'obbligo dell'amministrazione di garantire segretezza o riservatezza”. Si tratta di una modalità di distribuzione del software assolutamente legittima: ma siamo all'opposto della filosofia e delle logiche di condivisione che stanno alla base dell'OS/FS. E' anche significativo osservare che si tratta esattamente della politica di distribuzione adottata da Microsoft nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni proprio come risposta alla diffusione dell'OS/FS.
In definitiva, possiamo ben dire che la montagna ha partorito un topolino. Questa direttiva non è destinata a modificare l'atteggiamento della Pubblica Amministrazione centrale nei confronti della questione del software libero, e più in generale della libertà della conoscenza. Fortunatamente – se il centro fa da retroguardia – il sistema delle autonomie sta procedendo in maniera ancora non organica, ma sempre più evidente, nella direzione giusta, quella di utilizzare l'acquisto e lo sviluppo di software come strumento per favorire lo sviluppo di una società della conoscenza fondata sulla libertà e sulla pluralità: vale la pena, sotto questo aspetto, di sottolineare il risultato positivo messo in campo dalla nuova legge regionale toscana sulla società dell'informazione (L.R.T. 1/2004, art. 4, c.1, lett i), che prevede esplicitamente la “promozione, sostegno ed utilizzo preferenziale di soluzioni basate su programmi con codice sorgente aperto, in osservanza del principio di neutralità tecnologica, al fine di abilitare l’interoperabilità di componenti prodotti da una pluralità di fornitori, di favorirne la possibilità di riuso, di ottimizzare le risorse e di garantire la piena conoscenza del processo di trattamento dei dati”.