mercoledì, 9 maggio 2012
Gianni Riotta sulla Stampa di ieri ha riassunto il quadro politico europeo che esce dalle urne dei vari paesi al voto con un'efficace semplificazione: esistono tre partiti europei, quello del rigore, quello della crescita e quello del populismo (arruolando in quest'ultimo una congerie variopinta che va dalla sinistra radicale greca a Beppe Grillo a Melenchon e a Marine Le Pen). Come tutte le semplificazioni, funziona fino a un certo punto: l'etichetta di populismo e' un comodo passepartout per non prendere in considerazione le differenze — e per dare per scontato che non ci sono alternative alla dialettica tra difensori del rigore di bilancio e propugnatori della crescita economica.
In realta' e' un modo per appiattire la scelta politica degli europei a una dialettica del tutto interna alle logiche del primato del mercato. Da una parte l'ossequio al predominio della finanza e alle logiche da questo imposte al governo dei debiti sovrani, dall'altra una visione piu' legata al primato della produzione, in cui la crescita del PIL diventa la misura del successo e del benessere di una societa'.
A costo di essere arruolato nella schiera poco raccomandabile dei populisti, credo che l'offerta politica (anche quella moderata — non solo quella degli estremisti di vario colore e forma) non possa ridursi a questo.
Al di la' della necessita' di affrontare delle emergenze e di progettare per il futuro politiche di bilancio responsabili, la linea del rigore ad ogni costo mi pare portatrice di una ferocia sociale inaccettabile — e alla lunga fonte di tensioni che non possono non minare la convivenza civile e deteriorare in maniera forse inarrestabile la qualita' delle nostre vite (e della democrazia stessa: tornero' su questo punto nei prossimi tempi).
D'altra parte credo che la crescita — di per se' — non possa e non debba essere un obiettivo fine a se stesso. La crescita economica e' probabilmente — in questa configurazione delle relazioni globali — necessaria per non aggravare le tensioni sociali. Ma di per se' non garantisce che la qualita' della vita delle persone migliori — che la qualita' della convivenza sociale migliori — che la societa' nel suo complesso sia piu' *giusta*. Solo la riduzione delle disuguaglianze, solo lo sforzo per la redistribuzione del reddito e della ricchezza possono portare in questa direzione. Per questo un partito della crescita senza uguaglianza non mi pare alla fin fine un'alternativa al partito del rigore — non mi pare disegnare un futuro decente per l'Europa.
Il fatto e' che dallo schema di Riotta e' sparito il partito della giustizia sociale; e quel che temo e' che sia sparito per davvero, non solo nelle semplificazioni di un giornalista, ma anche nel panorama di un'elaborazione politica che non sa piu' pensare alla giustizia e all'equita' come obiettivi — e li vive al massimo come vincoli, in positivo o in negativo, di un'azione che mira ad altro.
caro Angelo, per migliorare la qualità della vita la redistribuzione della ricchezza è necessaria ma altrettanto, mi pare, un diverso modello di sviluppo: è diverso crescere producendo automobili e autostrade oppure biciclette e piste ciclabili, per dire