mercoledì, 27 gennaio 2010
Meditate che questo e' stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
____O vi si sfaccia la casa,
____La malattia vi impedisca,
____I vostri nati torcano il viso da voi.
Ci sono cresciuto, con queste parole di Levi. Ci sono cresciuto come figlio, a cui la memoria e' stata tenacemente trasmessa. Ci sono cresciuto come padre, nel tentativo di trasmettere altrettanto tenacemente a mia figlia maggiore, oltre a un nome, quella stessa memoria. Come padre ci cresco ancora, ogni giorno, nella consapevolezza che il mio figlio minore sarebbe stato spazzato via dalle logiche dello sterminio, tra i primi, senza alcuna pieta'.
Meditate che questo e' stato. Questo, non altro. Diffido di chi tende a stemperare la memoria della Shoah in un generico momento di condanna di tutti i razzismi e di tutti gli stermini che punteggiano la nostra storia, antica e recente. Oggi facciamo memoria di un evento preciso nella nostra storia, facciamo memoria di queste vittime — non di altro.
A maggior ragione diffido di chi usa la Shoah come termine di confronto del tutto sproporzionato per questa o quella ingiustizia, per una qualunque sopraffazione, stemperandone il peso e il significato in una indignazione tanto indistinta quanto spesso pelosa. La Shoah non e' un termine di paragone possibile per quanto accade in Palestina, o per i respingimenti in mare dei migranti. Fu altro — ed e' quest'altro che oggi dobbiamo ricordare. O ci si sfaccia la casa, la malattia ci impedisca, i nostri nati torcano il viso da noi.
E tuttavia oggi non posso fare a meno di chiedermi se siamo capaci di dare ancora un senso a questa memoria. Vedo celebrare la memoria della Shoah con grande compunzione — e nello stesso tempo perfino con il non nascosto compiacimento di essere nel giusto — da parte di personaggi (e di una societa' nel suo complesso) che tollerano o incoraggiano ogni forma di discriminazione, di razzismo, di violenza contro l'altro. Rosarno non ha niente a che fare con la Shoah, ma una societa' che tollera Rosarno ha perso qualunque senso di che cosa voglia dire fare memoria della Shoah.
E' da tanto — ormai — che pensando ai versi di Levi — mi vengono alla mente, quasi involontariamente — quelli di un altro poeta con cui sono cresciuto:
_____________________Memoria
non e' peccato fin che giova. Dopo
e' letargo di talpe, abiezioneche funghisce su di se'.