mercoledì, 3 giugno 2009
Davanti alla mia scuola elementare c'era un viale di tigli, come tanti. Gli ultimi giorni di scuola, certo i più belli, erano associati al persistente odore degli alberi in fiore, forse un po' forte ma in fondo gradevole specie se appunto segnale di un evento lieto. Erano giorni veramente spensierati, in cui andare a scuola non mi faceva fatica, perché ormai era stato tutto detto e scritto e c'era solo il sapore, stavolta leopardiano, di una specie di prolungato sabato del villaggio.
Negli anni quell'odore mi è rimasto, con meccanismo che è inevitabile ahimè definire proustiano, ricollegato ad una indefinibile sensazione di felicità che provo non solo prima di aver capito che viene dall'olfatto, ma addirittura di aver realizzato che nei paraggi ci sono dei tigli in fiore.
Ora davanti alla nostra casa di Torino tante piante di tigli costeggiano la strada. E tornando a casa un pomeriggio sono stata colpita di nuovo da quella strana felicità. Non ci è voluto molto per realizzare che era un felicità ingannevole, che ormai la scuola non finisce più, che i doveri, le responsabilità e i problemi ci sono tutti i giorni dell'anno; in questi momenti mi sembra di essere Nanni Moretti in Palombella Rossa che urla rimpiangendo i pomeriggi di maggio passati a giocare al pallone. E' in queste occasioni che mi capita di provare una certa nostalgia per l'infanzia, che pure non ricordo con grande piacere. Preferisco però dover pagare quel breve momento di felicità sensoriale con un po' di amarezza piuttosto che rinunciare per sempre a quei pochi secondi in cui ogni anno, torno a frequentare la quarta elementare.
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