In questi giorni ho accumulato un po' di letture e di riflessioni sulla guerra in Libano. Se come temo alcuni link sono nel frattempo andati offline, segnalatemeli: ho fatto copie locali di tutti gli articoli.
A volte essere buon profeta e' tanto facile quanto spiacevole. Israele sta perdendo la guerra in Libano:
- la sta perdendo sul terreno, innanzi tutto: Haifa e il nord del paese sono sotto attacco quotidiano da perte dei razzi di Hezbollah, le perdite sono alte, i progressi poco visibili — e il fattore tempo non gioca a favore di Israele.
- la sta perdendo sul piano degli obiettivi militari (anche perche' non erano chiari e definiti in partenza), come riferiva gia' il 5 agosto questo interessante reportage di Libération: i soldati catturati continuano ad essere nelle mani di Hamas e di Hezbollah, le capacita' militari della milizia sciita libanese non sono state annientate, anche se certamente hanno subito qualche ridimensionamento, la "fascia di sicurezza" che Israele vuole nel sud del Libano e' tutto tranne che assicurata; solo un'escalation ulteriore del conflitto, con l'attacco alle retrovie di Hezbollah nella valle della Bekaa e con azioni su larga scala volte alla demolizione sistematica dell'infrastruttura logistica, potrebbe a questo punto dare ad Israele una vera vittoria sul piano militare. Gia' qualche giorno fa un analista serio come il generale Jean sulla Stampa si era espresso in questo senso [non trovo l'articolo online; questo, del 26 luglio, dice cose in parte analoghe]; oggi perfino un giornale di sinistra come Ha'aretz, che pure avanza forti riserve sul senso e la conduzione della guerra, caldeggia l'escalation, proprio a partire dalla constatazione della sconfitta sul campo:
Let there be no doubt: Despite the efforts of the prime minister and IDF generals to enumerate the IDF's achievements, the war as it approaches its end is seen by the region and the world – and even by the Israeli public – as a stinging defeat with possibly fateful implications.
Tuttavia l'escalation avrebbe rischi e costi politici, militari ed umani difficilmente sostenibili: e' da sperare che ad Israele manchino il tempo e la volonta' politica per andare in questa direzione.
- la sta perdendo sul piano degli strumenti diplomatici: tanto che la bozza di risoluzione ONU — che pure e' frutto di un compromesso molto favorevole a Israele — arriva perfino a prevedere che lo stato ebraico faccia concessioni territoriali (la questione delle "fattorie di Sheba", per la cui importanza rimando a questo articolo apparso oggi su L'Orient-Le Jour di Beirut); nell'ipotesi disegnata dal primo ministro libanese Siniora il dispiegamento dell'esercito nel sud del paese avverra' con il consenso di Hezbollah e quindi la milizia sciita avra' modo di conservare il suo potenziale offensivo. Inutile dire che il massacro di Qana e' stato determinante nell'alienare ad Israele i consensi internazionali necessari a una soluzione per lei positiva. In questo senso ho trovato illuminante un articolo di Nehemia Shtrasler uscito su Ha'aretz del primo agosto:
Now, after the tragic events in Qana, which killed some 60 civilians, even Israel's greatest ally has changed direction and says it wants a speedy cease-fire. [...] Based on what has happened in the field, nothing remains of the grandiose goals of the beginning of the war.
Soon we will start to long for the excellent agreement offered by the G-8 at the beginning of the war. Today, it, too, is unattainable.
- la sta perdendo sul piano della percezione nazionale: il fronte interno mostra, pur nel sostegno generalizzato all'azione militare, segni di nervosismo e di perdita di coesione. L'opinione pubblica israeliana *si sente* sconfitta di fronte alla capacita' di Hezbollah di reagire e di continuare a colpire. Ze'ev Sternhell gia' il 3 agosto definiva quella in Libano "The most unsuccessful war".
In queste condizioni, tra l'altro, anche l'attuazione del piano di convergenza del governo Olmert si dimostrera' particolarmente difficile, perche' avranno buon gioco gli avversari di qualunque ritiro dal West Bank ad invocare il doppio precedente del Libano e della Striscia di Gaza: territori — sosterranno — da cui Israele si e' ritirato unilateralmente e dai quali viene una minaccia forte alla sicurezza dei cittadini, che nemmeno una guerra su larga scala e' in grado di neutralizzare.
- la sta perdendo sul piano degli obiettivi politici: il consenso per Hamas in Palestina e' alle stelle (al 55% secondo un sondaggio riportato da Repubblica lo scorso 7 agosto) — e i moderati palestinesi sono chiusi all'angolo; in Libano Hezbollah e' il partner determinante per definire la cessazione delle ostilita' ed ha riguadagnato favore e solidarieta' presso la popolazione e presso la classe politica. Il primo ministro Siniora non esita a dire che gli obiettivi di Hezbollah sono gli obiettivi di tutti i Libanesi e che senza l'accordo di tutti i partiti non ci sara' alcun invio di forze internazionali nel sud del paese: se pure dovra' ridurre il proprio potenziale militare dopo il cessate il fuoco, il partito sciita ha gia' riguadagnato ampiamente sul piano politico quel che perdera' sul piano degli armamenti. Il risultato e' che il governo Olmert si trovera' una Palestina in cui il prestigio di Hamas non sara' piu' discutibile e un Libano in cui l'unita' politica delle varie fazioni avra' come comune denominatore l'avversione a Israele. Amir Oren traccia cosi' il quadro di chi e' il vero vincitore del conflitto, ad oggi:
In Western terms, if the cease-fire resolution is accepted in its current formulation, then Nasrallah lost the confrontation with Israel during the past month. In Eastern terms, which are the ones that really count in this part of the world, he only improved his position by taking a step backward in anticipation of the next round. The cease-fire depends on the agreement of the government of Lebanon and, at this point, that depends on Nasrallah. If the world is impatient to close the Lebanese case and move on, Nasrallah is capable of giving it and Israel the runaround – and of racking up further concessions. He exists, therefore he is important.
A titolo di provvisoria conclusione: Israele e' entrata in questa guerra con obiettivi mal definiti e senza una strategia politica, rispondendo in termini puramente militari a un'aggressione politicamente assai meditata da parte di Hamas e di Hezbollah. Com'era ovvio, sono stati questi ultimi a trarne vantaggio. Come suggerisce Akiva Eldar in questo articolo, c'e' una sola cosa che il governo Olmert potrebbe fare per rovesciare il tavolo e garantirsi una soluzione politicamente vantaggiosa del conflitto: riaprire le trattative tanto con la Siria per il Golan, quanto con i Palestinesi per la cessazione dell'occupazione — allargando all'improvviso l'orizzonte, e chiedendo con assoluta fermezza nello stesso tempo che la comunita' internazionale garantisca la sicurezza rispetto alle ambizioni nucleari dell'Iran, Israele potrebbe ottenere molto di piu' che con la guerra anche sul difficile terreno libanese. Ma a Gerusalemme tira tutt'altro vento — e nulla di simile accadra'.